Il fatto che sia uscito parallelamente al pluripremiato Melancholia, potrebbe trarre in inganno: la verità è che Another Earth di Mike Cahill ha davvero poco da spartire con il film di Lars Von Trier. L'espediente cosmico (anche se non a caso se ne parla tanto nel 2012) è solo pretesto per una sottile riflessione filosofica, sulle tracce di un pianeta specchio che racconta la duplicità nell'individuo.
Quante volte ci siamo chiesti se ci fosse un'altro noi, un'altra persona identica nello spazio e nel tempo e che magari si interrogasse allo stesso modo guardando lo spazio. Another Earth fonde questa eterna domanda esistenziale a uno scenario fantascientifico latente: non ritroviamo le atmosfere apocalittiche di Melancholia, ma piuttosto un clima introspettivo dove i silenzi e i dolori delle persone che abitano il pianeta "TERRA1" procedono noncuranti e si esprimono quotidianamente tra l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo.
Rhoda, una brillante studentessa, è alla guida di ritorno da una festa quando alla radio si parla di un nuovo pianeta visibile ad occhio nudo. Si affaccia al finestrino ammaliata da quella luce lontana, scontrandosi con un auto. Il pianeta comparso all'interno del sistema solare è un pianeta specchio alla terra, chiamato senza troppi indugi TERRA2, per via dei suoi mari, terre e persone apparentemente identiche a noi. Nulla di plateale ci attende: soltanto pensieri che si insinuano tra i silenzi di una giovane donna. L'esistenza su Terra2 può forse essere una seconda occasione? Un altro essere identico a noi. Un altro noi, che vive la nostra stessa vita. L'ombra, il doppio. Guardare il cielo e vederci riflessi lassù.
Fin dall'antichità si è parlato del doppio nell'essere umano: gli egizi con Ka esprimevano il concetto di doppio come proiezione vivente della figura umana. Il geroglifico utilizzato per descriverlo era caratterizzato da due braccia identiche e riflesse. Ovidio nelle Metamorfosi ci racconta del giovane Ermafrodito, figlio di Hérmes e Afrodite attanagliato dalla ninfa Salmacìde la quale riesce a diventare con lui un unico essere grazie ad una preghiera fatta agli déi . Ma più di tutti Narciso, che si specchia nelle acque e si perde nel suo riflesso - quindi in se stesso - per l'eternità: "Quel che bramo l'ho in me: ricchezza che equivale a povertà. Oh potessi staccarmi dal mio corpo! Desiderio inaudito per uno che ama, vorrei che la cosa amata fosse più distante". Che sia stato un miraggio, un inconscio e profondo desiderio umano quello di vedersi fuori da sé, non ci è dato saperlo. Il cinema ha tuttavia il potere di rendere verosimili paure e desideri, di farci vivere, come in TERRA2, una seconda vita.
Il doppio ci affascina e allo stesso tempo ci turba. Niente ci spaventa più di ciò che è simile, troppo simile; per questo il film Mike Cahill è una perfetta trasposizione dell'un-heimlich freudiano, il perturbante, la potente sensazione sprigionata quando estraneità e familiarità si uniscono. Cosa c'è di più perturbante di una copia esatta di tutto ciò che conosciamo, compresi noi stessi, identica eppure altra? Come la famosa fotografia che ritrae le bambine gemelle di Diane Arbus, Another Earth ci pone in uno stato di totale immobilismo: ci affascina, ma ci rende impotenti, inermi. Se poi pensiamo al fatto che la posizione di spettatore cinematografico è caratterizzata proprio dal più totale immobilismo, da una partecipazione profondamente passiva allo spettacolo che gli si pone davanti, e - come se non bastasse - vede immagini che "riflettono" un mondo che in qualche luogo è stato reale, non se ne esce vivi. E questo rapido spunto di riflessione forse, può aiutare meglio a capire il senso di un film come Inland Empire.
Altro che panico da fine del mondo. Il vero giorno del giudizio sarà quello in cui ci troveremo, faccia a faccia, con il nostro io.